Opus sectile

Introduzione

Le decorazioni pavimentali formate dall’accostamento di lastrine di pietre calcaree, marmi o materiali “litoidi” (es. vetro, laterizio), disposte a formare – per contrasto cromatico – un disegno più o meno complesso, vengono definite dagli autori antichi sectilia pavimenta (Vitr. arch. 7, 1; Suet. Caes. 46). Alla stessa tipologia si riferisce con ogni probabilità anche Plinio il Vecchio (nat. hist. XXXVI, 189) quando afferma che «i pavimenti a lastrine di pietre entrarono in uso già all’epoca di Silla, almeno nel tipo ad elementi più piccoli», riportando dunque ai primi decenni del I sec. a.C. l’inizio, a Roma, della produzione pavimentale a commesso lapideo (Plin. lithostrota, cfr. anche nat. hist. XXXVI, 184; Varr. Maenipp. in Non. 129, 3), o, per usare la denominazione più comune (coniata agli inizi del XIX sec.), in opus sectile.

Per le loro caratteristiche specifiche – e cioè per la presenza di un disegno ottenuto dal contrasto cromatico dei vari elementi – i sectilia pavimenta vanno distinti dai semplici lastricati marmorei e non vanno confusi neanche con altre tecniche “ad intarsio” (espressione ancora oggi talvolta riferita, erroneamente, ai sectilia antichi), in epoca romana riservate quasi esclusivamente alle decorazioni parietali (es. opus interrasile).

Di seguito viene tracciata, a grandi linee, l’evoluzione tipologica di questa classe di rivestimenti in epoca antica: i pavimenti che prenderemo in considerazione vengono presentati – come nella banca dati di TESS – sulla base della classificazione elaborata da F. Guidobaldi (GUIDOBALDI 1985), ormai di uso invalso ed applicabile sia secondo il modulo dimensionale, sia secondo i moduli geometrici. Nella descrizione dei materiali viene invece usato l’aggettivo marmoreo, riferito non soltanto a quelle specie lapidee riconosciute come marmi in senso strettamente geologico, ma anche tutte quelle pietre sottoponibili a levigatura e particolarmente dure e resistenti all’usura (ad es. i porfidi); viceversa si utilizza l’espressione non marmoreo per indicare un materiale lapideo tenero e/o sfaldabile (ad es. calcari o scisti).

Le prime sperimentazioni della tecnica: da Silla ad Augusto (I sec. a.C.)

I più antichi sectilia pavimenta erano composti da lastrine di piccole dimensioni (parvolis certe crustis: Plin. nat. hist. XXXVI, 189) e possono pertanto essere definiti a piccolo modulo, cioè con dimensioni dell’unità modulare non superiori a cm 30. Tali rivestimenti sono composti quasi esclusivamente con materiali non marmorei, bianchi, neri o colorati (grigi, grigio-verdi, rossi, bruni) e compaiono agli inizi del I sec. a.C., come risulta dalle fonti e confermato dagli esemplari superstiti meglio datati. Si tratta di pavimenti caratterizzati da motivi decorativi che si ripetono in una o due direzioni secondo un modulo che si combina con altri identici fino a coprire l’intera superficie. Gli esemplari più antichi sono quelli formati da gruppi di tre rombi di colore diverso, accostati a formare un esagono, con effetto tridimensionale di “cubi prospettici”, come nella Casa dei Grifi sul Palatino e nel Tempio di Apollo a Pompei. Relativamente diffuse, come il precedente, sono le scacchiere di quadrati, presenti nel settore sillano della cd. mensa ponderaria di Tivoli e nel triclinio della Villa dei Misteri; meno frequenti sono le composizioni a scacchiera di rombi o di triangoli, che ritroviamo comunque in area vesuviana a Pompei (Casa del Cinghiale) e Ercolano (Casa dell’Atrio a Mosaico).

Il repertorio decorativo dei più antichi sectilia pavimenta (prima metà del I sec. a.C.) include, in sintesi, soltanto composizioni di rombi, triangoli e quadrati (in quest’ultimo caso anche in variante listellata), che trovano precisa rispondenza nella coeva produzione in tessellato. Una maggiore varietà si riscontra a partire dalla seconda metà del I sec. a.C., epoca in cui si affermano più decisamente le composizioni di quadrati o rombi delineati da listelli (come in una domus sotto la basilica di S. Pudenziana), a isodomo listellato (Ercolano, Casa dello Scheletro) o a motivi via via più complessi (Lucus Feroniae, villa dei Volusii). Un campionario quasi completo – ed eccezionale nella sua unicità – di tutti i motivi geometrici fino ad allora sperimentati, talora riproposti in variante plurilistellata o affiancati da motivi del tutto inediti, si trova nel complesso della Casa di Augusto sul Palatino, di cui purtroppo si conservano soltanto le impronte lasciate dagli elementi del sectile nella malta di allettamento.

L’affermazione del marmo: Augusto e l’età giulio-claudia

Se la più antica produzione dei sectilia pavimenta è caratterizzata – come si è visto – dall’uso esclusivo di materiali non marmorei, a partire dalla tarda età di Augusto (37 a.C. – 14 d.C.), e cioè dagli inizi del I sec. d.C., cominciano ad essere utilizzate anche lastrine di marmi vari (bianchi, venati o colorati), che tuttavia almeno in un primo momento sembrano essere soltanto integrative e non prevalenti. I pavimenti realizzati con questa combinazione di elementi – perlopiù sectilia a piccolo modulo inseriti in edifici privati – sono definiti “a materiali misti” e sono da considerare categoria a sé, sia per le significative novità registrate dal repertorio decorativo, in cui compaiono per la prima volta lo schema quadrato-reticolare e il motivo del quadrato con due quadrati minori inscritti (quest’ultimo il più diffuso in assoluto nell’opus sectile), sia per la cronologia ben circoscritta, pur se con lievi oscillazioni a seconda dell’area geografica. Diversi esemplari si trovano in zona vesuviana (es. Pompei, Ercolano, Oplontis), in area romana e laziale (es. Tarquinia),  ma anche in aree più lontane, specialmente nel Nord, dove però l’uso dei materiali misti perdura anche ben oltre il pieno I sec. d.C. E’ sempre nella piena età augustea che compaiono i primi sectilia pavimenta in redazione marmorea, ma soltanto nella tipologia “a grande modulo” (ossia con disegno formato da grandi lastre composte secondo schemi iterativi o unitari, con modulo non inferiore ai 120 cm), che troviamo esclusivamente in edifici monumentali e, quindi, pubblici. Le più antiche testimonianze sono probabilmente rappresentate dalle pavimentazioni del Foro di Augusto (ultimo decennio del I sec. a.C.), a grandi lastre di giallo antico, pavonazzetto e africano, così come di età augustea sono anche i pavimenti della basilica Giulia e quello del Tempio della Concordia (4-10 d.C.), tutti caratterizzati da motivi semplici ma a grande modulo. A questa prima sperimentazione su scala monumentale dei pavimenti marmorei, che aveva permesso di apprezzarne le qualità di resistenza all’uso e la policromia assai variata, seguì un’intensa diffusione in ambito privato, ovviamente su basi modulari inferiori, e cioè “a modulo medio” (compreso fra il 30 e i 120 cm) o anche a piccolo modulo, come negli esemplari più antichi. Questi ultimi, di esecuzione più complessa (in quanto ottenuti con elementi di dimensioni “minute”), erano comunque di costi più contenuti rispetto alle grandi lastre, più difficili da ottenere, trasportare e porre in opera. Anche per trovare i primi esempi di sectilia pavimenta interamente marmorei in edifici residenziali dobbiamo comunque rivolgerci a complessi di proprietà imperiale, come ad es. della villa di Livia a Prima Porta e nelle ville di Tiberio a Capri, con pavimenti a modulo quadrato o quadrato-reticolare con motivi iterativi e unità modulari piccole e medie.

Sul piano strettamente tecnico è importantissimo, in questo periodo, anche lo sviluppo dei sectilia “a modulo quadrato”, ossia di pavimenti composti da “mattonelle” quadrate – ciascuna delle quali articolate a commesso policromo di vari elementi marmorei composti secondo un disegno ripetitivo e che, giustapposte, formavano disegni più complessi che mimetizzavano la maglia quadrata di base, come nel caso dei sectilia della villa romana di Tarquinia e della Casa degli Affreschi a Luni, di età giulio-claudia. Questi pavimenti, di modulo piccolo, ma soprattutto medio, si prestavano molto bene alla prefabbricazione: le “mattonelle” potevano infatti essere preparate in laboratorio come unità quadrate, già pronte entro apposite casse che ne facilitavano trasporto e montaggio. Questo tipo di preparazione, ancora embrionale in epoca giulio-claudia, ebbe successo a partire dall’età neroniana, quando divenne canonico l’uso di frammenti oblunghi di anfore, applicati con mastice sul retro delle formelle a rinforzare le giunture fra le lastrine e poi ammorsate nella malta; tali elementi di rinforzo erano ovviamente disposti in modo diverso, a seconda della tipologia del modulo prefabbricato. Questo metodo di preparazione delle “mattonelle” restò in uso per almeno quattro secoli, favorendo la nascita di una vera e propria “industria dei pavimenti marmorei”, che ebbe certamente a Roma il suo centro principale di produzione e che esportò in gran parte dell’Impero la tecnica e, talvolta, anche i manufatti e/o le maestranze.

Fra Nerone e Adriano: il periodo aureo (seconda metà del I-II sec. d.C.)

Abbiamo visto come nella prima metà del I sec. d.C. i motivi decorativi si mantengono ancora entro schemi geometrici abbastanza rigidi e lineari; sono del tutto assenti, in questa prima fase, gli elementi curvilinei (a parte l’inserimento, in qualche raro caso, di semplici dischi). I caratteri distintivi di questa fase iniziale sono ancora ben evidenti anche nei più eleganti pavimenti realizzati in quell’epoca, come nel sectile proveniente dalla residenza degli Horti Lamiani, divenuti di proprietà imperiale sotto Caligola (37-41 d.C.).
A partire dall’età di Nerone (54-68 d.C.) il repertorio decorativo registra una vera e propria “svolta”: è in questo periodo infatti che la tecnica pavimentale a commesso marmoreo raggiunge i livelli qualitativamente più alti in assoluto, con l’adozione su vasta scala di disegni di grande complessità.
La domus neroniana del Palatino (Domus TransitoriaDomus Aurea ) ci hanno lasciato un buon numero di questi elaboratissimi sectilia pavimenta che, destinati alla dimora dell’imperatore, ci permettono di capire meglio quale fosse il livello espresso in quel periodo dalle composizioni a commesso di marmi policromi, che mostrano sempre disegni complessi a base curvilinea, realizzati con un’ampia varietà di specie marmoree. Compare in questo periodo, per la prima volta, l’associazione di pavonazzetto, giallo antico, porfido rosso e verde, meglio nota come “quadricromia neroniana”: l’uso di questa gradevole combinazione cromatica persisterà anche nei secoli successivi, restando una delle preferite per tutta l’età imperiale e tardoantica, passando poi nella produzione pavimentale della Roma medievale.
I raffinatissimi pavimenti delle dimore imperiali di Nerone rappresentarono fin da subito un imprescindibile “indirizzo di gusto”, che si ritrova, già in epoca flavia (69-96 d.C.), in alcuni sectilia pavimenta di domus aristocratiche dell’area vesuviana (dove si trovano gli esemplari meglio conservati, come nella Casa dell’Efebo a Pompei, nella casa dei Cervi, di Apollo Citaredo e del Rilievo di Telefo ad Ercolano) ma anche di altre aree geografiche, come nella villa del Saraceno all’Isola del Giglio o, ancora, in una domus di Sibari. Questi pavimenti, a modulo quadrato con decorazioni complesse, mostrano una caratteristica distintiva che resterà invariata anche nei secoli successivi, vale a dire l’unicità del motivo decorativo, che è sempre diverso per ciascun esemplare, esattamente come accade nelle creazioni di “alta moda” destinate alle committenze più esclusive. Accanto a questi pavimenti più raffinati prosegue in parallelo la produzione di pavimenti “comuni”, a modulo quadrato con motivi semplici e di livello qualitativo medio, che diventano sempre più standardizzati e diffusi in tutto l’ambito culturale mediterraneo.

Se nei sectilia pavimenta dei complessi palaziali di Nerone troviamo anticipate le tendenze decorative proprie dell’età flavia, in un’altra residenza imperiale, quella di Domiziano a Sabaudia, si comincia a intravedere il viraggio verso quello schematismo geometrico e lineare che sarà caratteristico, soprattutto in area romana, dell’epoca successiva. Lo stesso gradimento per gli schemi semplici si registra d’altra parte anche fra i sectilia a grande modulo destinati agli edifici pubblici, anche se, in questo caso, si tratta non di un cambiamento quanto piuttosto di una conferma di schemi compositivi e di motivi già sperimentati in età augustea, la cui progettazione, strettamente legata all’architettura del contesto monumentale di appartenenza, risulta meno influenzata dalle variazioni di gusto. Si ritrovano dunque semplici pavimenti a lastre marmoree di colore variato (es. domus Flavia del Palatino, foro della Pace, celle laterali del Capitolium di Brescia) o schemi reticolari semplici (cella centrale del Capitolium di Brescia, basilica di Ostia, etc.). Gli schemi di questi pavimenti si mantengono semplicissimi anche nei due secoli successivi: l’unica innovazione è costituita dall’inserimento, nelle maglie degli schemi reticolari, di grandi dischi o quadrati, come si vede nella basilica Ulpia e nel Foro di Traiano e anche nel Pantheon adrianeo.
Per la prima metà del II sec. d. C. la villa di Traiano ad Arcinazzo e, soprattutto, il vastissimo ed eccezionale campionario presente nella residenza tiburtina di Adriano offrono la possibilità di analizzare la notevole varietà degli schemi di modulo medio rappresentati nelle dimore imperiali, in cui appare ben evidente la preferenza accordata alle geometrie rigide, che si accompagnano a scelte cromatiche accurate, con esiti finali di grande raffinatezza e sobrietà, a volte di gusto arcaizzante.

Negli edifici di commitenza medio-alta si osserva tuttavia la persistenza, accanto agli schemi in uso nelle residenze imperiali, di moduli quadrati con motivi complessi, che continuano ad essere impiegati negli ambienti di rappresentanza, come nel caso della villa di Castro dei Volsci o in quella di Durrueli presso Agrigento.
Riguardo alla tecnica di esecuzione, i pavimenti a commesso marmoreo di I e II secolo sono perlopiù di alta qualità, con tagli accurati e concordanze cromatiche quasi sempre rigorosamente rispettate; esistono ovviamente anche esemplari di livello più modesto, di fattura meno accurata, ma il livello della produzione è in genere elevato e con un uso limitatissimo di materiale di reimpiego. Il centro di produzione e irradiamento continua ad essere senza dubbio l’Urbe, che resterà sempre il punto di riferimento per questa tecnica anche nei secoli successivi.

Dall’età dei Severi al periodo tardoantico

A partire dalla fine del II secolo e, soprattutto, dall’epoca severiana la produzione in opus sectile sembra registrare – almeno sulla base dei dati finora disponibili – una decisa flessione, che si accompagna alla riaffermazione del mosaico bianco-nero e alla nascita di nuove tipologie pavimentali (ad es. i mosaici a grandi tessere marmoree e porfiretiche): un’analisi d’insieme del non cospicuo gruppo di esemplari assegnabili a quest’epoca evidenzia in effetti un certo livellamento nella qualità tecnica, insieme ad una generale tendenza alla semplificazione del repertorio decorativo, come attestano ad esempio i pavimenti della villa dei Quintili e della “villa grande” sotto S. Sebastiano e quelli ostiensi dell’edificio I, XII, 8 e della domus della Fortuna Annonaria (V, II, 8).

Del tutto eccezionale, nel panorama di questo periodo, può pertanto essere considerato il pavimento proveniente dalla villa di Lucio Vero sulla Cassia, forse l’unico e il più antico esemplare romano riconducibile alla categoria dei sectilia “plurilistellati” o “a poliemblemata“,  classe di pavimenti di altissimo livello qualitativo, caratterizzata dalla presenza iterata di formelle a commesso finissimo sottolineato da listelli multipli, sottili e in contrasto cromatico, il cui centro di produzione va però individuato fra l’Egitto e la Cirenaica.

Alla carenza di commessi marmorei di età severiana e, in generale, di III secolo fa da contrappunto, a partire dall’età tetrarchica, una straordinaria ripresa della produzione: tornano così in auge i sectilia pavimenta a modulo quadrato o quadrato-reticolare, a motivi semplici e complessi. Sul piano tecnico questi pavimenti sono caratterizzati dall’uso predominante di elementi di reimpiego, trascuratezza nelle concordanze cromatiche, tagli poco accurati ed irregolarità dimensionali, che tuttavia non incidono sul risultato d’insieme, talvolta di grande effetto. Uno dei primi esempi di questa fase di ripresa – che, come sempre, ha il suo centro propulsore nell’Urbe – è il pavimento della Curia dioclezianea, datato alla fine del III secolo, ma il maggior numero di pavimenti proviene dalle ricche  dimore aristocratiche di IV secolo, spesso abitate da senatori o da funzionari di alto rango desiderosi di ostentare il proprio status. Ne sono testimonianza, solo per citare qualche esempio, a Roma la domus sotto Palazzo Valentini, quella del Vittoriano, quella dei Valeri sul Celio, quella presso e la domus suburbana rinvenuta nell’area di Vigna Lupi e, ad Ostia, quella di Amore e Psiche e quella fuori Porta Marina (in associazione ai noti sectilia parietali): tutti questi edifici ci offrono un ampio campionario del repertorio decorativo presente nei pavimenti a commesso marmoreo di livello più alto, caratterizzati da motivi talvolta assai complessi e di disegno sempre esclusivo. Redazioni più modeste, a modulo quadrato semplice o rettangolare listellato, sono inoltre documentate, a Roma, nelle domus di via in Arcione e dei Maroniti, di Palazzo Valentini, di via dell’Olmata; ad Ostia le ritroviamo nella domus del Tempio Rotondo e nella cd. aula di Marte e Venere.

Dopo il IV secolo i sectilia pavimenta diventano sempre meno frequenti: sfugge a questa tendenza l’Italia settentrionale, in cui prende corpo una produzione di sectilia a piccolo modulo, perlopiù in materiali misti, decisamente caratteristica del periodo tardoantico e paleocristiano e attestata soprattutto in edifici di culto. A Roma la tipologia a modulo quadrato semplice diventa ormai la sola disponibile, come si può vedere in diverse basiliche paleocristiane (S. Marco, S. Lorenzo in Damaso, S. Pietro in Vincoli, S. Clemente, S. Crisogono, S. Alessandro sulla Nomentana) e anche in alcuni mausolei e catacombe (S. Callisto). Il VI secolo vede una rarefazione ancora maggiore delle testimonianze: fra queste si segnalano comunque il pavimento a grande modulo della basilica di S. Stefano Rotondo sul Celio e i sectilia a piccolo modulo, di tradizione “bizantina”, delle tabernae della Basilica Emilia e di S. Maria Antiqua.

Per approfondire

  • GUIDOBALDI F., GUIGLIA GUIDOBALDI A. 1983, Pavimenti marmorei di Roma dal IV al IX secolo, Città del Vaticano (Studi di Antichità Cristiana, XXXVI).
  • GUIDOBALDI F. 1985, Pavimenti in opus sectile di Roma e dell’area romana: proposte per una classificazione e criteri di datazione, in Marmi antichi. Problemi d’impiego di restauro e di identificazione, ed. P. Pensabene, Roma (Studi Miscellanei, 26), pp. 171-251.
  • GUIDOBALDI F. et alii 1994, Sectilia pavimenta di Villa Adriana, Roma.
  • GUIDOBALDI F. 2003, Sectilia pavimenta e incrustationes. I rivestimenti policromi pavimentali e parietali in marmo o materiali litici e litoidi dell’antichità romana, in Eternità e nobiltà di materia. Itinerario artistico fra le pietre policrome, ed. A. Giusti, Firenze, 2003, pp. 15-­75.
  • GUIDOBALDI F. 2005, Sectilia pavimenta: le tipologie a schema reticolare con motivi complessi e quelle a schema unitario plurilistellate, in La mosaïque gréco-romaine, 9, IXème Colloque International pour l’étude de la mosaïque antique (Roma, 5-11 novembre 2001), ed. H. Morlier, Roma (CÉFR, 352), pp. 803-821.
  • GUIDOBALDI F. 2010, Sectilia pavimenta tardoantichi e paleocristiani a piccolo modulo dell’Italia Settentrionale, in Rivista di Archeologia Cristiana, 85, 2009, pp. 355-410.
  • GUIGLIA A. 2001, Pavimenti marmorei a Roma e nel suburbio nei secoli IV-VII, in Materiali e tecniche dell’edilizia paleocristiana a Roma, ed. M. Cecchelli, pp. 191-202.

Testo e immagini a cura di Claudia Angelelli

STRINGA BIBLIOGRAFICA: Angelelli, Claudia, Opus sectile, in TESS - Classi pavimentali, 2016
(http://tess.beniculturali.unipd.it/web/terminologia-e-definizioni/classi-pavimentali/opus-sectile/)